Paolo Maldini, bandiera del Milan, ha rilasciato un’intervista ai microfoni de La Gazzetta dello Sport. Di seguito sono riportate le sue dichiarazioni.

Il legame con il Milan e i suoi colori

Oggi sono un ex atleta, un marito, un papà, un uomo felice. Ho avuto solo due maglie, quella rossonera e quella azzurra. E la scelta, quella vera, non la fai da bambino ma poco alla volta comprendendo ad esempio che quella squadra ha i tuoi stessi obiettivi. Non ho mai preso in considerazione l’idea di lasciare il Milan e mai la società ha pensato di vendermi. Essere una bandiera? Significa avere responsabilità in più e arriva un momento in cui sei pronto a prenderle. Anche se non sei tu a decidere di diventare una bandiera. Da ragazzo io cercavo di guardare il più possibile e di parlare il meno possibile. A un certo punto, però, capii che era giunto il momento di prendere delle responsabilità. E allora cambia anche la percezione degli altri nei tuoi confronti”.

Sui migliori traguardi con il Milan

Il miglior Milan? Il primo di Sacchi, il ‘92-93 di Capello e il 2002-03 di Ancelotti. C’era tantissima qualità, anche in panchina. Però l’emozione maggiore fu il giorno del mio esordio: sul pullman verso lo stadio mi chiedevo “ma io qui ci posso stare?”. Non avrei mai pensato di entrare. Poi accadde. Il campo era brutto, il primo pallone che toccai fu un retropassaggio a Terraneo. A livello fisico sono arrivato al top nel del ‘91-92 e nel ‘93-94. Ma scelgo il Maldini del 2002-03. Io sono stato un esteta perché me l’ha insegnato papà. Ho sempre provato a fare la partita perfetta, ma è impossibile. Ti ci puoi avvicinare, ma solo se giochi in posizione centrale come nel 2002-03 e non sulla fascia. Quell’anno disputai 19 partite di Champions, tutte. E molte le giocai bene”.

Sul futuro incerto del Milan

“Da tifoso sono preoccupato. Non credo che l’Uefa ce l’abbia col Milan, anzi credo che vorrebbe un Milan forte. Poi vedremo gli sviluppi. Sono timido, ho sempre pensato che finita la partita avevo il diritto di godermi la vita e la famiglia. Mi manca l’arrivo allo stadio, la tensione pre-gara, quando ti schieri a centrocampo. Momenti bellissimi. Ho tanti amici nel calcio ma ho la fortuna di non aver bisogno di lavorare e quindi di poter selezionare. A Barbara Berlusconi, però, avevo detto sì: non è saltata per mia volontà. Ho detto di no alla proprietà attuale. Con la Nazionale avrei fatto il team manager alMondiale 2014, ma poi non mi chiamarono più. Dissi no al Chelsea perché avevo appena smesso e non era chiaro il mio ruolo”.