Chi scrive non potrà mai dimenticare quel giorno. Prima volta alla Scala del calcio, a sorpresa, un bambino di dieci anni che sognava da tempo di andare a San Siro e ci riuscì nel giorno più bello. Il Milan, quel 28 aprile di ventidue anni fa, ha il match-ball scudetto. E’ stato il campionato della riscossa: dopo una tormentata stagione, 1994-95, in cui pur essendo competitivo e reduce da un trionfale successo europeo contro il Barcellona nonché dal terzo titolo consecutivo, il Milan ha rallentato. Alla deriva in campionato dopo tre sconfitte nelle prime cinque partite, in Europa ha stretto i denti ed è arrivato a Vienna, perdendo la finalissima, terza consecutiva, con l’Ajax dell’amico Rijkaard. L’attacco ha segnato poco, in più sui rossoneri è caduta una tegola non da poco seppur a essere coinvolti sono stati i loro tifosi: Vincenzo Spagnolo, giovanissimo tifoso del Genoa, è morto a metà campionato accoltellato da un tifoso avversario prima di Genoa-Milan.
Ecco perché, nell’estate del 1995, occorre rivedere qualcosa. Conservato il nucleo storico che tira la carretta da ormai otto anni, Berlusconi mette mano al portafoglio per regalare qualcosa di più a quel reparto offensivo spuntato. Come un galantuomo che entra in gioielleria per la sua signora, fa un regalo prezioso alla sua amata: compra i due diamanti forse più splendenti del momento, ossia George Weah, cannoniere del PSG eliminato nella semifinale di quella Champions League, per la verità già acquistato da tempo, e soprattutto Roberto Baggio. Per Roby è come arrivare in ritardo a un appuntamento: già nel 1990 avrebbe sposato la causa rossonera, non fosse per una sorta di agreement con gli Agnelli, che si erano già sorbiti un Milan mondiale e non erano disposti a continuare ad avallare quel dominio, così Baggio se lo portarono a casa loro.
Il campionato 1995-96 del Milan è autorevole e inizia, segno del destino, dal suo Capitano: a Padova, il 27 agosto, Baresi segna l’ultimo gol della sua carriera. La squadra sin da subito non ha cali di tensione e resta in testa praticamente tutto il torneo, con un inciampo in ottobre a Bari (0-1) ma soprattutto una straordinaria vittoria sui campioni uscenti della Juventus con un uno-due in sette minuti firmato da Simone e dal liberiano. Che soprattutto nella prima parte di stagione è implacabile e decisivo: i suoi gol non si contano ma si pesano, ne fa pochi ma letali. Come la doppietta felina a Roma in settembre o quel gol alla Lazio a inizio dicembre, sempre all’Olimpico, segnato saltando in un colpo tre avversari. Una pantera venuta dall’assolata Africa ad azzannare le prede. Lontane le abbuffate di gol della stagione 1991-93 (7-3 a Firenze, 8-2 a Foggia o 5-3 alla Lazio), i gol subiti a fine anno saranno solo 24.
E così, si arriva a quella domenica di primavera inoltrata. Di fronte la Fiorentina, che da lì a pochi giorni vincerà la Coppa Italia, allenata da Ranieri, che per la verità è stata nella scia dei rossoneri per metà torneo. A San Siro, il pubblico è col fiato sospeso: il futuro di Capello, scudetto o meno, pare appeso a un filo. A dicembre, col tricolore ancora di là da venire, la società non se la sente di rinnovargli il contratto e per tutta risposta l’allenatore di Pieris, discutibile caratterialmente ma tutto d’un pezzo, ha già deciso che a fine anno se ne andrà. Si gioca alle 16 e il Milan parte sotto: dopo un quarto d’ora segna Rui Costa, senza sapere che un giorno quello sarà il suo stadio. Niente paura: c’è un genio nel Milan che si chiama Dejan, e dopo un minuto è già 1-1. In chiusura di tempo un rigore per la verità discutibile su Weah, consente a Baggio di segnare il 2-1 e appendere la maglia alla bandierina sollevata al cielo. Aria di festa. Nella ripresa, rigore anche per i viola: lo calcia Robbiati (Batistuta quella domenica era assente per infortunio) e Seba Rossi para. Sempre a chi scrive, quel bambino di dieci anni, vennero le lacrime agli occhi. Tre a uno di Marco Simone, con il figlio di Savicevic, Vladimir, che a bordo campo chiede a papà “Chi ha segnato?”. E poi la festa per il quarto tricolore in cinque stagioni. “Forza Milan!”, in un numero speciale, la settimana dopo, titola “E sono 15!”. L’ultimo ruggito del Regno di Capello. L’incontro chiarificatore con Berlusconi a stagione finita, non servirà: Don Fabio, tenendo fede alla sua parola, se ne andrà a Madrid per vincere ancora.
fonte: milancafe24.com
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