Eppure c’era il sole quel pomeriggio a San Siro. Poi, intorno alle 17, le nuvole presero il sopravvento e scaricarono sui milanesi un’acqua torrenziale. Ma cosa importava? Il Milan aveva appena vinto il suo diciassettesimo titolo di una storia straordinaria. Dopo un paio di stagioni trascorse a occuparsi dell’Europa (semifinale di Uefa nel 2002 e trionfo in Champions League nel 2003), i rossoneri si ricordano che il campionato non serve da allenamento ma è un altro titolo alla loro portata. E così compiono il percorso inverso alla storia: un tempo si vinceva il campionato e poi la Coppa dei Campioni, oggi, con gli inviti estesi non solo alle squadre campioni ma pure a seconde, terze ed eventuali quarte, la democrazia pallonara può far primeggiare prima in Europa e poi in campo nazionale.
E di fatti, dopo quell’anno di grazia 2002-03, il Milan è pronto e maturo per riprendersi un titolo che manca dal romanzo zaccheroniano del 1999, quando il Milan di Bierhoff rimontò la Lazio nelle ultime sette partite e vinse a Perugia. La squadra campione d’Europa è stata ulteriormente puntellata di due importanti innesti rifacendosi le fasce: Pancaro, generoso terzino scudettato con la Lazio nel 2000 e un certo Cafu, che si è fatto tre finali mondiali di fila vincendone due. Con i dioscuri Nesta e Maldini là in mezzo a fare la guardia, i due possono tranquillamente essere liberi di arare le loro fasce di competenza. Ah, sì, poi è arrivato un terzo acquisto, un tale di nome Kakà (cioè, ha un nome lungo lungo come tutti i brasiliani ma non stiamo qui a ripeterlo), faccia pulita e occhialini da secchione. Dice che si ispira a Rai, non la televisione ma un brasiliano che aveva vinto il Mondiale ’94 e giocava nel Psg. Mah, sarà forte? Otto milioni e mezzo al San Paolo, magari lo lasciamo parcheggiato ancora un anno in Brasile. E invece no.
Se il Milan il 2 maggio del 2004 arriva con un margine rassicurante sulla Roma, avversaria a San Siro, pronto per darle il colpo di grazia, il merito è soprattutto suo. Altro che secchione, altro che sfigatello. Ricardo Izecson Dos Santos Leite ha spaccato quel campionato: il 5 ottobre segna il suo primo gol in una partita da niente, un derby. Poi replica a novembre a Empoli, in una partita complicata che lui sblocca con una sventola da 35 metri. Cuore e leggerezza, classe e naturalezza questo Kakà. Ed è proprio dai suoi piedi che parte il cross che dopo sessanta secondi Shevchenko (capocannoniere con 24 reti quell’anno) gira in rete di testa. “Milan l’è un gran Milan” sfoderava la curva Sud su due anelli. Vietati i tricolori, che saranno tirati fuori solo quando imperverserà la pioggia. La Roma perde la testa, protesta per un rigore che pur pareva evidente e i suoi tifosi bloccano l’incontro per lunghi minuti lanciando petardi dalle parti di Dida. Davanti all’ex Capello il Milan trionfa: Ancelotti non sa più cosa sia quell’etichetta di perdente che gli appiccicavano addosso. Storia di un pomeriggio di sole che in fondo, anche se poi prese a cadere la pioggia, non se n’era mai andato.
fonte: milancafe24.com